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  • IL TALENTO: TRA NATURA E SCIENZA

Tutti noi siamo rimasti  a bocca aperta di fronte alla velocità di Marcell Jacobs, alle performance artistiche di cantanti in grado di raggiungere tonalità altissime, alle intuizioni di Steve Jobs.. e quante volte ci siamo detti :” Bhe..io quel talento non ce l’ho..”

Ma il talento è davvero una capacità innata o può essere un comportamento appreso? Possiamo pensare 

il talento come  la somma delle capacità di una persona, non solo doti innate, ma anche abilità, nozioni, esperienza, intelligenza, senno, atteggiamento, carattere e iniziativa. Rientra anche l’attitudine e l’apprendimento dall’esperienza, ma tendiamo spesso a soffermarci sulle sole doti naturali. Quando non riusciamo a spiegarci come l’allenamento e la costanza abbiamo portato al successo, ci accontentiamo ed etichettiamo personaggi vincenti  come “talenti naturali”. 

 Secondo lo Psicologo Statunitense Howard Gardner, l’intelligenza non è un fattore unitario ma si delinea secondo molteplici sfaccettature, ognuna delle quali è deputata a differenti settori dell’attività umana :

  • logico-matematica;
  • musicale;
  • spaziale;
  • linguistica;
  • cinestesica;
  • intrapersonale, interpersonale;
  • naturalistica;
  • filosofico-esistenziale.

Il talento personale diventa quindi specifico ed individuale, dove una parte di esso è innato e genetico, ma questo non predispone automaticamente al suo sviluppo ed al suo mantenimento nel tempo.

Considerare il talento come qualcosa di “magico”, “immutabile”, “non manipolabile” ci porta a subire un forte condizionamento mentale.  Questo andrà  ad influire sulle performances successive ed sul modo in cui ci rapportiamo alle nostre esperienze. 

Ogni volta che falliremo  non considereremo l’accaduto come una situazione da cui ripartire. Interpreteremo la sconfitta come un’ulteriore prova della nostra mancanza di talento. Il risultato sarà il calo della motivazione e del piacere personale, calo dell’autoefficacia e tendenza a fuggire dalle sfide.

La società in cui siamo cresciuti ci ha portato a costruirci un tipo di mindset statico.  Se l’individuazione precoce e la promozione del talento è al centro delle politiche federali, se società sportive e talent scout danno costantemente la caccia a giovani promesse, quel famigerato “fattore x” capace di fare la differenza: quel quid che o ce l’hai (e allora tutto è possibile) o non ce l’hai (e allora meglio lasciar perdere). Quel qualcosa, iscritto nei nostri geni, che alcuni pensano di poter riconoscere fin dalla più tenera età 

Considerare il talento come “dote innata”  ci influenza e crea un “pregiudizio” autodeterminato. IL fatto che io debba impegnarmi e faticare per superare l’ostacolo significa che non sono abbastanza talentuoso. In questo modo si fa del talento un mito, una sorta di destino biologico che sorride ai più fortunati, esentandoci dal sacrificio e dalla fatica Dando credito all’idea che il successo sia un destino già scritto si commette un doppio errore. Da un lato non si riconosce il lavoro necessario a far fiorire il talento; dall’altro si alimenta una cultura degli alibi che deresponsabilizza e impedisce di crescere.

Tale pensiero può renderci ipersensibili alle critiche, rinunciatari e bloccati in pensieri stagnanti. 

Ed è importante, invece,  considerare che le nostre esperienze, assieme al lavoro quotidiano, plasmano e modificano noi stessi e le nostre abilità, da qualsiasi punto partiamo.

E’ quindi necessario iniziare a parlare di Logica del talento. Una logica integrata dove ciò che è stato dato viaggia a stretto contatto con ciò che è stato scelto. Talento e resilienza si sostengono a vicenda. Non esiste talento espresso senza tenacia, senza un processo di maturazione intriso di coraggio, di accettazione dei propri limiti, dedizione, passione, voglia di arrivare. 

Abbandoniamo il mito del talento per abbracciare la curiosità, il desiderio di apprendere e migliorare costantemente, oltre ad implementare efficaci strategie per superare le difficoltà e gestire gli errori 

Scoprire la propria vocazione è solo il primo passo e , spesso, il più semplice. Il secondo è imparare ad esserne all’altezza, il terzo sentirsene responsabile. Gestire la fatica, non lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi, divenire consapevoli dei propri punti di forza e di debolezza saranno gli ingredienti fondamentali per far brillare talenti che rimarrebbero altrimenti improduttivi. 

Dott.ssa Deborah Bodini

Pedagostista Coach di Movimento Talento

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